| Hai accennato, caro Libero, alle risoluzioni dell’Onu che nel 2001 e nel 2003 giustificarono la partecipazione italiana alla “missione di pace” (ISEF) , perché l’eportazione della pace doveva essere il solo obiettivo, mentre gli americani portavano avanti, unilateralmente, la loro “Enduring Freedom“ contro le basi terroristiche afgane, dopo l‘11 settembre. Ora che il conflitto ha subito una metamorfosi, che vede impegnati i nostri soldati in quotidiani scontri armati coi Talebani, perché agli americani siamo legati dai vincoli della Nato, è cambiata la natura della missione di pace: noi siamo in guerra con una parte del popolo afgano, che la pace e la democrazia non la vuole. Ieri Bossi ha detto che vuole proporre il ritiro delle truppe entro Natale al prossimo Consiglio dei Ministri, ma c‘è mancato poco che se lo mangiassero vivo, da Casini in poi. Abbiamo già perso 21 soldati più altri civili italiani in missione per lavoro o per supporto alla sicurezza. Dovremmo anche riflettere, come propone Bossi, ma anche la Sinistra non rappresentata in Parlamento, sull’elevato costo umano, innanzi tutto, ma anche finanziario che questa “esportazione di pace” costa a noi contribuenti. Rispetto allo scorso anno, per esempio, il fabbisogno finanziario delle nostre truppe (155 euro al giorno di paga, oltre allo stipendio, dai sergenti ai tenenti collonnelli) che dal 2008 è aumentato di oltre il 40%, raggiungendo l’attuale spesa mensile di 40 milioni di euro (fonte: Senato). In questa cifra non sono compresi i costi di gestione dei nostri ospedali da campo (5 mln), delle associazioni di volontariato (6 mln) e del supporto logistico della nostra aeronautica militare che, per fare un esempio, costa 52 milioni di euro all’anno solo per l’impiego di 4 caccia “Tornado” distaccati dalla base di Ghedi. Con le missioni a Kabul, inoltre, stanno terminando le “ore” di volo dei nostri velivoli da trasporto, praticamente a “fine vita” e da rimpiazzare. Incalcolabili “costi umani” innanzi tutto, ma anche finanziari per non essere riusciti, fino ad oggi, a: - instaurare una solida e democrazia in tutto il Paese, accontendandosi di un governo-fantoccio che non arriva a comandare oltre la periferia della capitale; - pretendere il rispetto dei diritti umani su gran parte del terrritorio, dove valgono solo le leggi dei capi-tribù e signori della guerra e dove sono all‘ordine del giorno gli stupri, le stragi di civili inermi e i saccheggi da parte delle milizie mercenarie pagate con i ricavi dell’ oppio; - stroncare una volta per tutte la produzione della droga, passata, secondo le stime del ns/Ministero degli Esteri, dalle 870 tonnellate del 2001 alle 8.000 ed oltre del 2008. Qualche parvenza di bonifica fu attuata militarmente tra il 2005 ed il 2006, ma i potenti signori della guerra invitarono “cortesemente” le truppe internazionali a lasciar perdere le coltivazioni di papavero che assicurano il reddito di tanti contadini; - portare il benessere, dove la gente campa ancora con 10 dollari al mese e dove i pastori poveri vendono i loro figli per l’espianto degli organi; - ricostruire il paese, dove il business infrastrutturale da 15 miliardi di dollari è in gran parte dominato dalle imprese statunitensi, lasciando a noi le opportunità di investimento marginale. Ci conviene? Se la risposta è no, andiamocene via entro Natale, come propone la Sinistra radicale e pure Bossi, altrimenti, se ci conviene, “godiamoci” questo facile (per i Tlebani) “tiro al piccione” che subiamo tutti i giorni dimostrando che la lettura della storia non ci ha insegnato nulla. Come dire, a chi non vuole imparare dalla storia, un “secondo Vietnam” non si nega a nessuno. Buona giornata.
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